| 11 SETTEMBRE 2001-2011: DIECI ANNI DOPO. COM’E’ CAMBIATO IL MONDO.

11 SETTEMBRE 2001-2011: DIECI ANNI DOPO. COM’E’ CAMBIATO IL MONDO.

11 SETTEMBRE 2001-2011

Twin Towers in fiamme dopo lo schianto dei due aerei.

11 SETTEMBRE 2001-2011

La notizia dell’accaduto circolò dapprima via Internet, perché a quell’ora molte persone lavorando, non potevano guardare i telegiornali, successivamente fu diffusa dalle radio e, in ultimo, dalle televisioni, le quali, superato lo “shock iniziale”, ebbero un ruolo centrale. Tutto il mondo si fermò a seguire, in diretta, quello che stava accadendo quella mattina a New York. Sono passati esattamente dieci anni dall’attacco alle Torri Gemelle, quell’11 settembre 2001 che indubbiamente cambiò il mondo.

I discorsi di Geoge W. Bush

George W. Bush. Discorso al mondo dopo l'attentato.

I simboli più importanti della grande Mela erano stati colpiti, tutti sapevano che le conseguenza non sarebbero state piacevoli e aspettavano con ansia una comunicazione dell’allora Presidente americano George W. Bush, che avrebbe parlato al mondo informandolo ufficialmente sull’accaduto e sul modo in cui l’America avrebbe risposto all’attacco. Tale comunicazione arrivo alle 20.30 (ora di massimo ascolto televisivo): il Presidente, dalla scrivania dello Studio Ovale, triste in volto, si presentò davanti alle telecamere per riferire al mondo sull’accaduto. Fu la prima di una lunga serie di apparizioni televisive attraverso le quali Bush avrebbe tenuto informato il mondo sulle conseguenze di tale attacco. Ognuno di noi rimase incollato davanti alla televisione in quei momenti ad ascoltare le parole del Presidente americano, condividendo uno dei più importanti “media events” che i mezzi di comunicazione di massa hanno saputo offrirci. Dalle 8.45 (14.45 ora italiana) di quell’11 settembre 2001, infatti, le televisioni, le radio e i giornali di tutto il mondo non fecero che parlare dell’attacco al World Trade Center, le immagini dei due aerei che si schiantarono contro le due torri continuarono a passare sui nostri schermi davanti ai quali tutti ci mostravamo increduli e inermi; le foto delle Torri Gemelle, ridotte ad un cumulo di macerie, continuarono ad occupare le prime pagine dei giornali.

Il mondo si ferma: il ruolo dei mezzi di informazione.

Il crollo delle due Torri visto dall'alto.

Il 14 settembre 2001, venne proclamato da Bush, giornata di lutto nazionale e in tutto il mondo si osservarono tre minuti di silenzio; la programmazione televisiva e radiofonica venne bloccata, i palinsesti modificati sostituendo varietà e film leggeri; anche la Formula 1 osservò il silenzio. Tutto ciò su precisa richiesta delle associazioni dello spettacolo, invitate dal Governo a prendere iniziative nel rispetto dell’accaduto. Tutti i media aderirono a questa iniziativa, sulla Rai a reti unificate e su La7 andarono in onda immagini senza commento, con musica di sottofondo, mentre sulle reti Mediaset appariva il cartello “contro il fragore dell’odio il silenzio della civiltà”. Tutto il mondo era fermo, se prima era accomunato dalla presenza degli stessi programmi, ora lo era per la loro assenza.

Successivamente si cominciò a fare il bilancio dell’accaduto, i media si lasciarono andare, diffondendo fiumi di informazioni, spesso anche infondate, che generarono falsi allarmismi e speranze, probabilmente per la troppa voglia di trovare ancora qualcuno vivo sotto le macerie, o per la voglia di dare una “grande notizia”. I bilanci delle vittime che via via venivano diffusi erano inattendibili, c’era addirittura chi parlava di 20.000 morti.

Caccia ai mandanti dell’attentato: alla ricerca di Osama Bin Laden

I sospetti dell’attentato ricaddero sul terrorista islamico Osama Bin Laden, fu Colin Powel, il Segretario di Stato americano a comunicarlo. Era probabilmente a lui e ai membri delle sue organizzazioni terroristiche che Bush inviava, attraverso i “media”, i segnali del fatto che gli Usa avevano ritrovato la forza e la fiducia nella propria potenza. Molti definirono tutto questo come una sorta di inconscio “gioco al gatto col topo” tra Bin Laden, probabile principale responsabile degli attacchi terroristici e gli Stati Uniti che dichiaravano “guerra al terrorismo”.

Osama Bin Laden

Nel frattempo continuarono le apparizioni televisive del Presidente americano che, dopo aver intimato i Taliban di consegnare Bin Laden, e dopo aver completato, quindi, l’accerchiamento militare e diplomatico del “nemico”, appariva calmo e sicuro di sé. I suoi discorsi contenevano tutte le “retoriche” efficaci con cui doveva essere comunicato un messaggio, ciò significa che egli era stato in grado di scegliere delle argomentazioni tali da mettere in difficoltà anche chi non era d’accordo con lui perché parlava del mondo come se fosse il “suo” mondo, il “nostro” mondo, favorendo ovviamente il meccanismo dell’ “identificazione”, pane quotidiano per i mezzi di comunicazione di massa, indispensabile per influenzare lo spettatore, rendendolo partecipe del dolore di chi sta parlando.

Il Presidente americano è stato molto bravo ad argomentare la scelta di rispondere all’attacco, i suoi discorsi (rafforzati anche da un sistema di pensiero alleato, a favore di una guerra “necessaria” per fermare il terrorismo), sono stati molto efficaci, ma ancor di più è stato efficace il modo in cui egli ha comunicato con il mondo e con il “nemico”; le apparizioni televisive, che mostravano un’apparente tranquillità e sicurezza di sé, sono state molto utili, ed ancora una volta hanno sottolineato l’importanza che i “media” hanno assunto e stanno assumendo tuttora nella nostra società.

L’informazione contribuì a scrivere la Storia.

Essi, attraverso l’informazione, e la loro capacità di veicolare immagini, amatoriali e non, ricoprirono, probabilmente in modo inconsapevole un importante ruolo di costruzione della Storia. Tutti noi eravamo consapevoli di quello che stava accadendo: non si trattava di un semplice incidente aereo, né di un attentato fine a sé stesso; il mondo stava cambiando e noi lo stavamo vedendo in diretta davanti ai nostri occhi. La Storia si stava scrivendo da sola attraverso telegiornali, quotidiani cartacei e soprattutto informazione online, in diretta e nulla, da quel momento in poi, avrebbe più potuto essere come prima. Il mondo sarebbe cambiato, noi saremmo cambiati e a dieci anni di distanza da quell’11 settembre 2001, ne abbiamo la prova certa: nulla da dieci anni a questa parte è quello che è stato prima che quell’aereo si schiantasse sulla prima torre.

Cambia il nostro modo di stare al mondo. Paura dilagante.

La nostra percezione del mondo, il nostro viverci e spostarci da un posto all’altro, tutto in questi dieci anni è stato attraversato dal fantasma dell’attentato: non ditemi che non ci avete pensato almeno una volta, quando viaggiando in aereo avete guardato con sospetto tutti quelli che si apprestavano a compiere il viaggio con voi; quando su di un treno vi siete ritrovati un vicino sospetto, per di più se non italiano. Non abbiamo più vissuto nulla con tranquillità, perché fondamentalmente non abbiamo dimenticato. Abbiamo, inconsciamente o dichiaratamente, appoggiato una guerra che non aveva altro sapore se non quello della vendetta o degli interessi politici, ma non ne abbiamo avuto lo scrupolo perché una soluzione per fare giustizia doveva essere trovata. Insomma tutto, anche la cosa più brutta e crudele, di fronte a quell’attentato trovava una giustificazione.

Una delle tante cerimonie di commemorazione avvenute in questi dieci anni. Zuccotti Park, vicino Ground Zero.

Nulla è rimasto come prima da quell’11 settembre e nulla è cambiato dal 2 maggio 2011 quando dopo anni di guerra e ricerca sfrenata, gli americani hanno finalmente trovato Osama Bin Laden e ucciso il mandante dell’attacco al World Trade Center. Nulla è cambiato perché non siamo diventati un mondo migliore, come non lo eravamo stati nei dieci anni precedenti e come non lo eravamo stati ancora prima che il più grande attentato terroristico di tutti i tempi desse un nuovo volto al mondo. La festa degli americani, la gioia nel vedere il corpo dilaniato di Bin Laden o nel sentirsi partecipi della felicità di un popolo che esultava per la morte di un uomo, non ci ha reso persone migliori di quegli attentatori, né tanto meno dei loro mandanti.

Cosa resta a 10 anni dal crollo delle Twin Towers.

A dieci anni di distanza non resta altro che profondo dolore e sconcerto, per aver assistito ad uno degli eventi che hanno segnato il mondo e per avere esultato della sua fine che fine non è, dal momento che tutto è rimasto tale e quale a prima, se non peggiorato. Resta l’amarezza per una catastrofe senza precedenti e spero resti anche la consapevolezza di non essere stati capaci di rispondere nel modo più corretto, forse più difficile, ma più ragionevole, quello che ci avrebbe davvero reso persone migliori, completamente differenti da chi ha compiuto e pensato quell’attentato.

Ma a dieci anni di distanza restano ancora i dubbi su quella vicenda, le perplessità sulla caduta di quelle Torri, troppo repentina e troppo “perfetta” da non sembrare affatto accidentale. Ci sono cose non chiare, persone a conoscenza di fatti di cui non avrebbero dovuto sapere nulla. Certo è che ciò che resta nella nostra mente di quell’11 settembre, al di là dei sospetti, delle polemiche e delle cose non chiare, sono certamente i numeri: 2974, le vittime totali, di cui 2763 morirono per il crollo delle Torri (2.165 nei grattacieli e 441 tra poliziotti e pompieri); 157 le vittime a bordo degli aerei, a cui si devono aggiungere i 19 attentatori – kamikaze, divisi su quattro aerei. C’è da contare, inoltre, un numero indefinito di persone, civili e militari, morte in questi dieci anni di “lotta al terrorismo”; un numero che non può passare in secondo piano, di qualunque nazionalità o religione essi siano.

Difficile, dunque, dire che l’11 settembre 2001 non abbia cambiato il mondo e che non abbia cambiato noi, ma chiediamoci in che modo lo abbia fatto e riflettiamoci su.



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